Dopo "Il miracolo di Natale", Rj Scott torna con una nuova novella natalizia tradotta dalla cara Claudia Milani e dalla sua collega Esme White. Un appuntamento da non perdere!
Sinossi: È passato molto tempo dall’ultima volta in cui Christian Matthews ha visto Daniel Bailey. Si erano incontrati all’università : Chris era all’ultimo anno e, in veste di assistente alla cattedra di letteratura, dava ripetizioni alla matricola Daniel che a tutto pensava meno che allo studio.
Sette anni dopo, Chris sta cercando di restare a galla dopo che la scuola privata per la quale lavorava gli ha chiesto di abbandonare la sua posizione e l’ha minacciato di far scoppiare uno scandalo. Non ha un lavoro, non ha soldi e deve affidarsi al buon cuore dell’amica Amelia per riuscire a sbarcare il lunario e avere un posto dove dormire. Gli servirebbe un vero e proprio miracolo di Natale perché quell’ultimo anno si rivelasse qualcosa di completamente diverso da un totale fallimento.
Poi arriva Daniel e all’improvviso tutto sembra di nuovo possibile. Chris si rende conto che non solo lo desidera ancora con tutto se stesso, ma questa volta potrebbe addirittura trovare il coraggio di confessargli ciò che prova.
* * * * *
Traduzione: Claudia Milani, Esme White
Lunghezza stampa: 90 circa
Editore: Love Lane Books
Lingua: italiano
Reperibile dall'8 dicembre prezzo Amazon e Love Lane Books (e credo AllRomance)
L'acquisto
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Romanticamente Fantasy Sito - 5/5 - "....Il libro Natale a New York è lungo circa 100 pagine, quindi si divora in un batter d’occhio. È scorrevolissimo e riesce a farti immergere nell’atmosfera natalizia in uno dei luoghi magici per eccellenza: New York.I due protagonisti ti entrano nel cuore: Daniel, bellissimo poliziotto dagli occhi nocciola, sicuro di sé e ricco da far paura, e Chris, ex docente di letteratura, calpestato nell’anima solo per il fatto di essere gay e che non riesce a vedere quanto vale e quanto sia meraviglioso.
Durante la lettura non mancheranno sorrisi e lacrime, specialmente in un paio di scene dove non saprete se piangere o arrabbiarvi, se continuare a leggere o chiudere tutto e passare oltre...."
Estratto
Capitolo 1Mercoledì 21 novembre
Cominciò tutto nello spazio di un respiro: nelle orecchie il classico di Natale di John Lennon al settantacinquesimo passaggio, e nelle narici il profumo dei muffin al mirtillo di Amelia. Fu come trovarsi davanti, insieme, l’Inferno e il Paradiso, oltre a tutta la serie di cliché che stavano nel mezzo. Una sorpresa così improvvisa da lasciarlo completamente disorientato.
Daniel.
Daniel Bailey, il rampollo dei Bailey di Boston, il ragazzo che Chris aveva desiderato con ogni fibra del suo corpo. Da sempre.
Alto - tanto, tanto alto - con capelli castani e bellissimi occhi nocciola, una fossetta sul mento e lineamenti forti, Daniel meraviglia Bailey era la perfezione fatta uomo. Avevano studiato assieme quando Chris era l’assistente alla cattedra d’inglese e Daniel, che doveva recuperare un credito in letteratura, era stato inserito nel programma per studenti con ‘necessità particolari’ - un eufemismo coniato da chi, al college, lavorava duramente, e usato in senso dispregiativo per etichettare quegli studenti che dei libri invece se ne fregavano. Daniel apparteneva a suddetta cerchia di sfaccendati: non si applicava mai in nulla eppure, in qualche modo, riusciva sempre a cavarsela.
D’altronde, non c’era motivo per cui dovesse impegnarsi nello studio. A venticinque anni sarebbe entrato in possesso di un fondo fiduciario, mentre già da matricola vantava vacanze in Europa e possedeva una Ferrari - anzi due - in bella mostra nel parcheggio del campus. La carriera futura spianata, quando una volta finiti gli studi sarebbe entrato a far parte dell’impero di famiglia, per Daniel la vita scorreva liscia come l’olio, e forse anche per questo sembrava essere avvolto da un’aura che illuminava tutto ciò che lo circondava.
E adesso, a ventinove anni, era ancora in ottima forma. Doveva essere quella la sua età , giacché Chris aveva già passato i famigerati trenta… più due. Ed era ancora, ovviamente, alto. Aveva ancora quelle lunghe ciocche ricce che gli ondeggiavano ad arte attorno al viso, e indossava denim che costavano più di quanto Chris guadagnasse in una settimana di turni al caffè, insieme a una di quelle T-shirt orribili, ma pur sempre costosissime, che lui adorava. Era di un colore misto tra il marrone e il blu, e addosso a un uomo meno imponente, più basso, grasso e brutto sarebbe parsa davvero tremenda. Su Daniel, invece, il cotone seguiva la linea dei muscoli ben definiti, gli aderiva al torso e scendeva a sfiorargli i fianchi, per poi coprirgli quella zona che anni addietro Chris era solito associare, nella sua mente, al Paradiso in terra.
“Chris? Chris Matthews, sei proprio tu?”. La voce profonda e dal tono raffinato lo fece trasalire e il suo sesso scattò immediatamente sull’attenti, provocandogli una dolorosa erezione contro la cerniera dei pantaloni, celata fortunatamente dal grembiule che indossava e lo qualificava come una delle dolcezze di Amelia. Niente era cambiato dai tempi del college: Daniel gli faceva ancora lo stesso effetto. Per di più gli stava parlando; l’ultima volta era successo circa dieci anni prima, in occasione della cerimonia di laurea. Senza scordare l’incidente natalizio dello zabaione. Merda, perché doveva tornargli in mente proprio lì? In quel momento? Nel pieno dell’ora di punta di metà mattinata?
Una volta, sotto Natale, erano rimasti entrambi all’università e si erano ritrovati unici inquilini degli appartamenti che condividevano, ciascuno separatamente, con altri studenti; finché, più per fortuna che per scelta, si erano incontrati al bar del campus. Il caffè era stato accompagnato da una discussione su Grand Theft Auto, seguita a sua volta da una sfida a muso duro nell’appartamento di Daniel. La casa abitata dal giovane era completamente diversa da quella specie di deposito che Chris divideva con altri sette disperati. Daniel viveva infatti insieme a due soli altri studenti, e ognuno di loro aveva la benedizione di un bagno privato – un lusso che era solo uno dei tanti esempi dell’abisso che li separava. Ancora oggi, Chris non riusciva a rammentare da chi fosse partita l’idea dello zabaione, nonostante il ricordo di ciò che era seguito lo avesse rincorso per parecchi anni.
Daniel aveva rovesciato delicatamente il contenuto di una busta della spesa sul piano di lavoro della cucina e Chris aveva afferrato al volo una bottiglia di bourbon per impedire che rovinasse a terra. Avevano seguito scrupolosamente la ricetta per la creazione dello ‘zabaione perfetto’, concentrandosi come solo due ragazzi imbottiti di birra avrebbero potuto. Al miscuglio di uova, zucchero, noce moscata e panna avevano aggiunto del brandy, ancora un po’ di brandy e infine del bourbon, di cui Chris aveva preso un generoso assaggio per giudicare se fosse o meno utilizzabile. L’alcool lo aveva reso audace. L’uomo dei suoi sogni era lì davanti a lui, a solo un passo di distanza, e gli sventolava il liquore sotto il naso chiedendogli se potessero usarlo. Alla fine ce ne avevano versato dentro mezza bottiglia.
Il primo assaggio dell’intruglio aveva fatto annaspare Chris in cerca d’ossigeno, il secondo l’aveva anestetizzato. Di quello che era accaduto nelle ore successive conservava ben pochi ricordi, a parte lo scambio di baci disordinati sotto il vischio. L’alcol gli aveva intorpidito i sensi al punto di fargli perdere l’occasione per spingersi oltre, giacché il suo sesso non si sarebbe levato in volo nemmeno se Brad Pitt si fosse messo a sfilare nudo per la stanza chiedendogli una seduta di sesso anale. Al suo risveglio, si era ritrovato sul pavimento, in bocca il sapore di un topo morto e il culo intatto, mentre Daniel russava sul divano. A quel punto si era dileguato, aveva camminato per i due isolati fino al suo appartamento e aveva trascorso il resto della giornata a svuotare il contenuto del proprio stomaco per ben dieci volte dentro la tazza del bagno. Ma quei baci… ne avrebbe decisamente voluti ancora. Purtroppo, non li aveva mai ottenuti.
E adesso l’uomo che aveva cercato di dimenticare con tutte le sue forze gli stava di fronte, magari aspettandosi anche una risposta sensata da persona normale, mentre la sua testa era invece completamente vuota. Sapeva benissimo cosa avrebbe dovuto dire e come ma, alla stregua di un nerd, seguendo il più tipico dei cliché cinematografici, produsse solo una specie di squittio capace di pizzicare esclusivamente l’udito di adolescenti e cani di piccola taglia. Finse un attacco di tosse, con tanto di colpetti alla gola, e deglutì prima di riprovare a parlare.
“Ehilà .” Eloquente. Ma anche no.
“Chris Matthews, quello del college, giusto?” ripeté Daniel con cautela. Sembrava un po’ confuso, quasi fosse preoccupato di aver sbagliato il nome o magari averlo scambiato per qualcun altro.
“Muffin?” iniziò a dire Chris. “Mmmh, sì, Chris… del college… Lavoro… ehm… Muffin?” Dio, era talmente uno sfigato che persino la sua erezione si nascose. L’alta, misteriosa e sexy figura di Daniel aveva ridotto praticamente a zero le sue capacità verbali, vanificando quattro anni di studi universitari.
Daniel sorrise. Un sorriso semplice, grande e allegro, che riempì i suoi occhi nocciola e gli si allargò su tutto il viso. E che dire, maledizione, di quelle due fossette, così carine, profonde e - in mancanza di un termine più adatto - pacioccose?
“Da quanto tempo!” Daniel era chiaramente interessato a prolungare la conversazione e così lui, ma era davvero imbarazzante l’incapacità del proprio cervello e della propria bocca di connettersi per verbalizzare un qualsiasi pensiero coerente.
“Uh, uh,” riuscì solo a farfugliare. Daniel aveva sempre avuto il potere di annodargli la lingua. Cambiò piede d’appoggio sperando di non essersi fatto notare e blaterò: “Cosa posso darti?” Senza volerlo gli uscì con un tono troppo spiccio, e maledisse tra sé quella sua inettitudine a socializzare coi ragazzi sexy.
Daniel sembrò farsi a sua volta taciturno: l’entusiasmo che aveva illuminato i suoi occhi fino a un momento prima sbiadì e le sue ampie spalle si irrigidirono leggermente. Ma durò poco e forse Chris lo aveva solo immaginato, perché nel giro di un istante tornò impettito e osservò con avidità l’accattivante esposizione di muffin, indicando alla fine quelli al mirtillo.
“Dodici di quelli, per favore.”
Chris li sistemò nella scatola, concentrandosi nell’operazione in modo da non dover incontrare gli occhi di Daniel, e poi gliela porse con un lieve sorriso che l’altro però non ricambiò, preferendo mettergli in mano una banconota da venti dollari. Chris trafficò col resto e gli posò due dollari e venticinque centesimi direttamente sul palmo aperto della mano. Daniel lo fissò con un’espressione colma d’attesa, che mutò in confusione prima che girasse sui tacchi e uscisse dal negozio.
“Parlando di cose buone da mangiare!” La frase, detta a bassa voce, arrivò all’orecchio di Chris seguita da un fischio leggero. Si voltò e vide Amelia, il suo capo, intenta a destreggiarsi come un prestigiatore fra una teglia di muffin e un cabaret di paste alla crema.
“Mmm?” Chris pensò che la donna si riferisse ai muffin appena sfornati, quindi le tolse di mano il nuovo lotto di dolci e lo sistemò nella vetrinetta.
“Il ragazzo che hai appena servito: quello alto, tenebroso e sexy.”
“Daniel.”
“Oh. Mio. Dio,” fece Amelia con un mezzo sospiro. “Christian James Matthews, gran baldracca che non sei altro, sai già il suo nome? È proprio vero che le acque chete rompono i ponti!”
“Ci conosciamo dai tempi del college, okay? Non sono una baldracca, Ame,” brontolò Chris, prima di servire il nuovo cliente che aveva reclamato la sua attenzione e che ordinò tre muffin, una pasta alla crema, un macchiato, un cappuccino con molto latte e un moca.
Si occupò di quel cliente e anche di quello successivo, il pensiero di Daniel accantonato dalla necessità pressante di sostenere il ritmo della sfacchinata del pre-Ringaziamento-ancora al lavoro-ho bisogno di un muffin.
Riflettendoci, anche se dopo l’incidente dello zabaione Daniel aveva iniziato a evitarlo al di fuori degli orari di lezione, la cotta che Chris nutriva nei suoi confronti non si era per nulla affievolita. Eppure aveva preferito portare a termine gli studi senza mai dichiararsi. L’altro ricordo che gli era rimasto impresso nella memoria era quello del suo ultimo giorno al college, quando Daniel lo aveva incantonato nel parcheggio del campus e lo aveva abbracciato stretto.
“Grazie per l’aiuto che mi hai dato con le lezioni.”
“Prego,” aveva risposto lui, le stesse identiche parole con cui aveva salutato tutti gli altri studenti del primo anno che aveva aiutato. Breve e conciso.
“Ci rivediamo fra qualche anno,” aveva promesso Daniel.
“Okay.”
La frase del ragazzo gli era tornata in mente una volta in auto, mentre ascoltava la musica orripilante scelta dalla madre, ma non aveva creduto nemmeno per un secondo che si sarebbero davvero incontrati di nuovo.
Che importava se da quel momento e per undici lunghi anni, il giovane Bailey fosse stato il protagonista dei suoi giochi di mano erotici? Che importava se molto probabilmente aveva appena perso l’occasione di una vita per parlargli da uomo adulto e vaccinato? Tanto non lo avrebbe rivisto mai più. New York era una città immensa e il negozio di Amelia, anche se popolare, solo una caffetteria fra tante, e pure un po’ fuori mano.
Che peccato, però! Daniel Bailey era ancora una vera bellezza!
* * * *
Nello spogliatoio Daniel scambiò gli abiti civili con l’uniforme, poi si affrettò alla propria scrivania, lasciando cadere la scatola con i dodici muffin al mirtillo sul tavolo al centro dell’ufficio. Aspettandosi un commento da un momento all’altro, non fu per nulla sorpreso quando questo arrivò proprio per bocca del suo partner, Alex Strachen.
“I muffin sono così terribilmente gay, Bailey,” disse. “Dannazione, tesoro, non potevi prendere le ciambelle, i biscotti o qualcosa di più etero?”
“Ah, ah, Strachen,” rispose lui asciutto. Gli tolse la scatola e chiuse il coperchio. “Li porto a quelli dell’amministrazione, allora.”
“Non avere fretta,” lo fermò l’altro. Allungò una mano e la scosse, il palmo rivolto all’insù. “Da’ qua.”
Daniel riappoggiò con calma la scatola davanti al collega, poi si abbandonò sulla sedia più vicina e si servì a sua volta.
“Sono di Grand Street?” notò Alex con la bocca piena, indicando il logo sul lato della confezione. “È almeno a dieci isolati di distanza.” Ingoiò il boccone e prese una sorsata di caffè, facendo una smorfia per il sapore orribile della caffeina. “E dalla parte opposta della città rispetto a dove abiti.”
“Che intuito, detective!” lo canzonò Daniel. Schiacciò con i denti un mirtillo intero e il succo aspro del frutto gli invase la bocca. Dio, quei muffin erano paradisiaci. Li osservò sparire uno dopo l’altro, via via che i colleghi li prendevano dalla scatola. Una piccola parte di sé non avrebbe voluto condividerli, tuttavia in quel modo sarebbe potuto tornare al negozio subito dopo il Ringraziamento e avrebbe rivisto Chris.
“Ha qualcosa a che vedere con quel ragazzo? Sei riuscito a trovarlo?” gli domandò piano Alex sporgendosi verso di lui. Anche se lì al dipartimento erano tutti a conoscenza della sua omosessualità , Alex era sempre molto attento a non divulgare particolari sulla vita privata di Daniel.
“Ne parliamo dopo,” rispose lui. Il resto – quando saremo fuori da qui – non c’era bisogno di pronunciarlo a voce alta.
Dopodiché cominciarono a lavorare, controllando i rapporti, prendendo gli ordini per la giornata e organizzando il loro turno. Era quasi mezzogiorno quando finalmente lasciarono il dipartimento per pattugliare le strade, benedicendo la neve che, se non altro, rallentava un po’ il solito caos. La gente si muoveva ancora senza meta; le auto continuavano ancora a passare col rosso e a tagliare gli angoli così da sfiorare con le ruote i piedi dei pedoni in attesa, però c’era qualcosa di nuovo nell’aria, come una nota di eccitazione. La prima neve era sempre qualcosa di eccitante, avanti che cominciasse a sciogliersi o, peggio ancora, a diventare poltiglia. L’aria fredda di novembre gli sferzò il viso, ma non gli importava: si sentiva a casa.
“Dai racconta. Quel tizio che hai cercato, il fratello o quello che era, ti ha dato qualche dritta utile?”
Contrario a ricorrere ai mezzi della polizia, Daniel si era affidato al buon vecchio lavoro da detective. Aveva parlato con il fratello di Chris, che sapeva lavorare al Times, e si era fatto dare i particolari circa la sua attuale occupazione. Con l’indirizzo stretto in pugno – e dopo essere uscito di casa con due ore di anticipo rispetto all’inizio del proprio turno – aveva finalmente, dopo tutti quegli anni, potuto rivederlo. Strano che proprio l’uomo che gli aveva dato l’impulso a impegnarsi nello studio fosse finito a lavorare in una caffetteria. Nella sua testa, Chris era un insegnante, o aveva addirittura continuato la carriera accademica fino a diventare titolare di una cattedra di letteratura inglese. Di certo non si aspettava di vederlo servire caffè e muffin.
“Sì, lavora lì come commesso.”
“Ed ecco spiegati i muffin. Ti ha riconosciuto?”
“Sì. Subito.”
“Eri in uniforme?”
“No, l’ho lasciata in centrale ieri e me la sono messa quando sono arrivato. Non volevo spaventarlo fin da subito.” Si strinse nelle spalle, incerto. “Era bianco come un fantasma, e non portava gli occhiali.”
“Ti ricordi addirittura che portava gli occhiali?” Alex scoppiò a ridere. “Cavolo, ragazzo, sei proprio cotto come una pera. Davvero hai pensato a lui per tutto questo tempo?”
C’erano molte cose del suo passato che Daniel non aveva condiviso con Alex, il quale era informato solo dei fatti principali: rampollo di una ricca famiglia, scuole private, laurea, poliziotto. Non sapeva nulla di Chris e dell’influenza che questi aveva avuto sulla sua giovane vita. E a Daniel andava bene così; erano dei ricordi che conservava con cura.
Sospirò. “È qualcosa che è rimasto in sospeso. Avrei dovuto cercarlo già da molto tempo.”
Alex gli lanciò uno sguardo indagatore, evitando nel frattempo di andare a sbattere contro una donna che si era fermata all’improvviso per guardare una vetrina senza curarsi minimamente di chi le stava attorno. Fece una smorfia, ma continuò a camminare. Erano abituati a molto peggio. Tutte le persone che percorrevano i marciapiedi di New York avevano, per qualche ragione, fretta ed era compito loro, in quanto poliziotti, assicurarsi che tutto scorresse nel miglior modo possibile.
“Allora perché non l’hai fatto?”
Daniel adocchiò uno sciatto Babbo Natale che chiedeva la carità fermo all’angolo di una strada e lo guardò male finché questi non colse il suggerimento e se la filò. Aveva imparato l’arte dello sguardo d’acciaio vedi-di-non-rompere da Alex e gli riusciva alla perfezione. Qualche volta il linguaggio del corpo e l’uniforme funzionavano meglio delle parole.
“Non era mai il momento giusto. Prima ero all’università , poi in lotta con la mia famiglia, poi all’accademia e poi sfinito. È solo da poco che ho cominciato a sentirmi a posto.”
“Un po’ pericoloso se lui era tanto importante, non trovi? E se avesse incontrato un altro bellissimo spilungone con gli occhi nocciola e fosse fuggito sull’isola di Tortuga?”
“Stai dicendo che sono bellissimo, Strachen?”
Alex rise sotto i baffi e prese una chiamata alla radio. Era richiesto il loro intervento in una strada poco più avanti, e all’improvviso la conversazione passò in secondo piano.
Mentre si occupavano della faccenda – un coniglio morto, un imbroglione, un bambino in lacrime e sua madre – Daniel cercò di fare ordine nei propri pensieri. Chris era rimasto molto sorpreso di vederlo quella mattina, però l’aveva riconosciuto. Era positivo, no? L’uomo era esattamente come Daniel lo ricordava: affannato, carino – anzi no, bellissimo – e con quel sorriso che gli faceva sentire le farfalle nello stomaco. Sarebbe tornato a trovarlo molto presto e, con un po’ di coraggio, gli avrebbe anche chiesto di uscire.
Una volta presa la sua decisione si concentrò sul perché un ragazzino di quattro anni avesse trovato un coniglio morto dentro una scatola da scarpe.
Cose che succedevano solo a New York.
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